domenica 13 maggio 2012

Dall'ultima volta che ho scritto sul blog sono accadute tante cose nella mia vita privata, alcune negative, altre positive, ma tutte caratterizzate dall'assorbimento di molto del mio tempo e delle mie energie intellettuali.

Ora, a Dio piacendo, ho ritrovato una certa stabilità ed il tempo "libero" sta tornando a dilatarsi un poco, consentendomi di riprendere anche questo piccolo passatempo.

A breve le pubblicazioni riprenderanno, nella speranza che non debbano più subire interruzioni...

Tojo

mercoledì 11 gennaio 2012

Le aspettative di inflazione degli italiani nel mese di Dicembre 2011

Come molti sapranno, è possibile ricevere gratuitamente la mailing list della Banca d'Italia, nella quale sono riportate molte informazioni interessanti, tra cui gli esiti delle periodiche ricerche che l'efficiente Centro Studi di Via Nazionale mette a punto mensilmente.

Oggi ho deciso di condividere con i quei pochi lettori del blog i risultati (sotto forma di tabelle, che quindi sono di immediata e facile lettura) dell'indagine di Dicembre, in merito alle aspettative sui prezzi futuri: un dato fondamentale per capire, da un lato, la fiducia che abbiamo noi consumatori, dall'altro per comprendere come la pensano gli operatori economici (le cui previsioni sull'inflazione ipotizzata influenzeranno inevitabilmente anche l'inflazione effettiva, che sentiremo nei mesi a venire).

Cominciamo con le attese sui prezzi al consumo (quelli per fare la spesa, si intende).



Il secondo grafico mette a confronto le aspettative d'inflazione sui beni di consumo con il tasso inflazionistico effettivamente realizzato.




Il terzo grafico è interessantissimo, perché mostra il grado di "abilità previsionale" degli imprenditori, rispetto all'andamento futuro dei prezzi: mette a confronto il budget di prezzo delle aziende con gli incrementi che le condizioni di mercato hanno consentito effettivamente di fare.


Salto il quarto grafico e passo direttamente al quinto (ed ultimo che pubblicherò su questo blog), che mostra quanto è "omogeneo" il campione di risposte e qual è il peso delle varie risposte, che determina poi la media che appare nelle immagini precedenti.




I dati si commentano abbastanza da soli: consumatori ed imprenditori si aspettano quella che, in gergo economico, è chiamata cost inflation, ovvero quell'aumento dei prezzi determinato non da un eccesso di domanda di beni, bensì dalla necessità, da parte del mondo produttivo, di "scaricare" sugli acquirenti finali - noi tutti - sia crescenti costi di produzione (soprattutto per energia e materie prime, a loro volta alimentate da paura e speculazione), sia tutta la serie di aumenti tributari scattati in questi mesi.


Spero che questo post puramente divulgativo (ma con poco valore aggiunto da parte mia) possa aiutare a comprendere meglio il funzionamento della psicologia del mercato, che poi è fatto da ognuno di noi esseri pensanti. ;-)


Tojo

martedì 3 gennaio 2012

Il mistero della produttività del lavoro in Italia

Buongiorno a tutti e Buon Anno! :-)

Con incredibile solerzia, mi metto ad aggiornare il blog già al terzo giorno del 2012 ed a pochissimo dall'ultimo articolo: speriamo che sia solo l'inizio di una ritrovata regolarità...


Ciò che mi ha spinto ad interrompere le faccende domestiche in cui sono impegnato è la vista di un grafico riportato dal Corriere della Sera, a proposito della produttività oraria italiana.




Il problema della produttività mi ha sempre sorpreso, perché finora non sono mai riuscito a darmene una ragione, sia utilizzando le conoscenze universitarie, sia sfruttando le teorie della Scuola Austriaca di Economia (di cui sono un modesto seguace), sia, infine, aguzzando l'ingegno ed il buon senso: oggi, però, ho forse trovato una possibile risposta.

Normalmente, per produttività oraria, si intende il seguente rapporto:

( Fatturato annuo / N° addetti ) / N° ore lavorate

Abbiamo quindi tre variabili in gioco:
  1. i ricavi aziendali;
  2. la forza lavoro;
  3. il periodo di funzionamento della fabbrica (o dell'ufficio).
Di queste, l'ultima è la meno variabile, perché decisa in base ai CCNL, che possono essere "derogati" solo tramite la cassa integrazione o con altre forme straordinarie di sospensione del lavoro: è pur vero che, in questi ultimi anni, la cassa integrazione è molto aumentata, però, paradossalmente, dovrebbe aver avuto l'effetto di aumentare la produttività (meno ore lavorate per un fatturato costante o in leggera discese aumentano i ricavi orari per addetto), quindi lascerò perdere questo fattore, concentrandomi sugli altri due.

La forza lavoro non è un mistero che sia un elemento altamente compresso in Italia: l'elevata imposizione fiscale (con quella mostruosità, chiamata IRAP, che colpisce direttamente il costo del lavoro, trattandolo "come un ricavo") e le grandi spese per oneri sociali e contributivi - in breve il c.d. cuneo fiscale - senza poi contare la giungla normativa (vedi Articolo 18) disincentivano fortemente le nostre imprese ad espandere la propria manodopera, spingendole anzi ad acquistare macchinari moderni, che consentano di supplire con la tecnica alla mancanza di braccia.
La forza lavoro è quindi da considerarsi una variabile costante nel corso degli anni, se non addirittura in diminuzione: ceteris paribus, anche questo dovrebbe influenzare positivamente la produttività, spingendola ad aumentare (meno persone, con attrezzature migliori, fanno il lavoro di più operai).

Se quindi orario di lavoro e numero di dipendenti hanno avuto (probabilmente) un impatto incrementale sulla produttività, la responsabilità del crollo testimoniato dal grafico (e da tanti studi e ricerche) si deve per forza trovare sul fronte dei ricavi.

Detto in altri termini, l'unica spiegazione che la logica (e la matematica) mi permettono di trovare è che, in questi anni, il fatturato dichiarato dalle nostre imprese è calato drasticamente, il che a sua volta posso spiegarlo solo con:
  • la crisi economica che sta mettendo alle corde sempre più il nostro tessuto produttivo;
  • il passaggio "in nero" di una fetta crescente del prodotto nazionale, così che esso sfugga dalle statistiche e faccia diminuire oltremodo il numeratore dell'equazione della produttività.
Non so se le mie conclusioni sono sensate: mi piacerebbe che qualcuno dicesse la sua...

Tojo

mercoledì 28 dicembre 2011

L'idea del "Fondo taglia-debiti" ricorda da vicino quella del Prestito di Salvezza Nazionale!

Ave a tutti, spero abbiate passato un buon Natale e vi apprestiate a passare un altrettanto buon Capodanno, pur cone le inevitabili ristrettezze economiche con cui praticamente tutti dobbiamo avere a che fare.

Ho avuto parecchio da fare in questo mese - tra le altre cose, ho cambiato lavoro e mi sono laureato: abbastanza per essere giustificato, no? - ed ho trascurato abbastanza il blog: oggi però torno alla carica, con questo ultimo articolo del 2011, che sarà a mero scopo auto-propagandistico. :-)


I pochi lettori forse ricorderanno che, ai primi di Novembre di quest'anno, proposi un'idea potenzialmente innovativa per, allo stesso tempo, ridurre il debito pubblico, dismettere patrimonio dello Stato (liberando quindi parte di quelle immense "risorse congelate" che rispondono al nome di beni pubblici), non consegnare le attività dismesse tutte in mano estera ed infine offrire un nuovo "porto sicuro" per il risparmio privato italiano: quest'idea l'avevo chiamata, un po' pomposamente, Prestito di Salvezza Nazionale.

Ora non mi metterò a rispiegare daccapo come funzionava il meccanismo per filo e per segno (anche perché è sempre visibile l'articolo originario), ma voglio solo ricordare che, in sintesi, prevedeva:
  • il conferimento di beni statali con potenziale di mercato (ad esempio le migliaia di appartamenti di proprietà di Stato ed Enti locali) ad un apposito Fondo d'investimento;
  • l'emissione, da parte del Fondo medesimo, di obbligazioni con rimborso finale in unica soluzione (dette anche zero coupon o, più semplicemente, come i BOT), da offrire al pubblico risparmiatore, con l'opzione (per il Fondo) di rimborsare queste obbligazioni o in contante o con quota-parte dei beni reali posseduti dal Fondo stesso;
  • l'uso del denaro incassato dall'emissione delle obbligazioni per il riacquisto di BOT, BTp, CCT e CTZ sul mercato secondario, ovvero l'annullamento di parte del debito pubblico pregresso.
L'idea aveva avuto riscontri discordanti e diversi, ma non di questo che voglio parlare: il fatto nuovo è che oggi, sul Corriere della Sera, è presente la notizia che, al Ministero dell'Economia, stanno pensando a qualcosa che assomiglia molto a quello che avevo proposto io ormai quasi due mesi fa.
Sul Corriere lo chiamano "Fondo taglia-debiti", ma il meccanismo di funzionamento è assai simile: leggiamolo insieme...


Con il governo Monti, l'Italia ha avuto il rigore, non ancora la crescita. Anzi, è in arrivo la recessione. È lecito sperare qualcosa dalle riforme, se si faranno. Sarebbe imprudente, dato anche il quadro internazionale, aspettarsi troppo. Sul piano europeo, la Bce ha prestato quasi mezzo trilione di euro all'1% alle banche, scontandone gli attivi. Ma da questa operazione si pretende tutto e il contrario di tutto: troppo.
Si dice, per esempio, che tali denari debbano andare alle imprese per contrastare la recessione. Bene. E le banche questo promettono, a partire da Unicredit le cui fondazioni hanno infine deliberato l'adesione all'aumento di capitale. Ma, con le assicurazioni, le banche sono anche e da sempre le massime acquirenti di titoli del debito pubblico. E così si insinua che, senza strombazzarlo, le banche faranno pure il loro secondo lavoro, magari per approfittare della forbice dei tassi. Con astuzia machiavellica, insomma, Mario Draghi si avvierebbe al quantitative easing dei titoli pubblici per interposte banche private. Da un punto di vista pubblico, sarebbe più logico che a sottoscrivere le nuove emissioni fosse la Bce. Ma le regole europee fanno questo regalo alle banche. Eppure...

Fino a ieri, i titoli pubblici dell'eurozona erano considerati risk free , privi di rischio. Di più: erano raccomandati dalle autorità monetarie internazionali per costituire in ogni banca i cuscinetti di liquidità indispensabili a fronteggiare le emergenze. Ebbene, come possono le banche continuare nel loro secondo lavoro se ciò che era risk free non lo è più per decisione della European Banking Authority (Eba) e del Consiglio europeo, nel silenzio della Bce e se comprando titoli pubblici rischiano nuove svalutazioni e nuovi aumenti di capitale?
L'Eba e il Consiglio europeo hanno gridato al mondo che il re è nudo, dimenticando che la civiltà si regge anche su qualche tabù. È possibile che, per continuare a vivere, il re debba rapidamente ricoprirsi, è possibile cioè che il debito pubblico dell'eurozona torni a essere considerato senza rischio nei bilanci bancari. Ma quel che è detto è detto. Non a caso il rendimento dei Btp a 10 anni è tornato a un preoccupante 7%.

Nessuno sa interpretare davvero i mercati, entità irrazionali. Perché i tassi sui Btp erano bassi quando l'Italia perdeva il 7% del Pil e sono esplosi nel 2011, anno scarso, ma non terribile come il 2009? Il fatto è che adesso si è acceso il faro sui debiti pubblici. E allora anche la quantità è entrata nel computo dei rischi. Come, del resto, accade in tutte le aziende. Accanto ai provvedimenti per la crescita, serve dunque una mazzata al debito per riportarne il costo a livelli più sostenibili.
Sulla carta le idee sono due, non necessariamente alternative: a) un consistente prelievo una tantum sulla ricchezza delle famiglie da una certa soglia in su; b) una realistica valorizzazione delle attività pubbliche in tempi stretti. La prima idea, sostenuta soprattutto dai sindacati, non è stata adottata dal governo Monti. Che si è limitato a una somma di imposte patrimoniali (lusso, bolli, Ici) che vale quasi l'1% del Pil. Più o meno quanto chiedeva Confindustria. L'idea del prelievo straordinario potrà essere ripresa, magari con parziali compensazioni sulle dichiarazioni dei redditi future come consigliava sul Corriere il banchiere Pietro Modiano? Al momento nessuno può dirlo, anche perché nel Pdl e nello stesso Pd si nutrono molte riserve sul prelievo pesante.

La seconda idea può avere attuazioni diverse, purché immediate e senza dimenticare che non siamo più negli anni 90, con le Borse al rialzo e tutta l'argenteria ancora da vendere. Qui siamo al cesello, per incassare subito e non svendere. Per smobilizzare gli edifici delle pubbliche amministrazioni centrali e locali, Deutsche Bank suggerisce di importare dagli Usa il modello dei Real estate investment trust , grandi fondi immobiliari con benefici fiscali ai sottoscrittori. Tra i tecnici ministeriali non si esclude di usare questa formula, che può coinvolgere i cittadini, anche per le partecipazioni (Eni, Enel, eccetera). Un fondo da 2-300 miliardi potrebbe indebitarsi per la metà dando tutti gli attivi in garanzia e ricomprare titoli di Stato approfittando delle basse quotazioni.
Mediobanca propende per la costituzione di una società, anche pubblica, alla quale Tesoro ed enti locali dovrebbero cedere partecipazioni e immobili appetibili per 100 miliardi. Questa società pagherebbe emettendo obbligazioni a un tasso assai più basso dei Btp perché garantite non solo dallo Stato ma anche dagli attivi. Queste obbligazioni verrebbero riservate a banche e assicurazioni in cambio dei loro Btp. Che il Tesoro potrebbe poi cancellare.

In ogni caso, ci vorrà sapienza politica per convincere gli enti locali a conferire case ed ex municipalizzate e, ancor più, per avere il consenso dell'Unione Europea a far uscire i nuovi debiti dal perimetro del debito pubblico. Come fa la Germania con la KfW. E ci vorrà pure il placet della Bce se saranno coinvolte le banche. Ma in ogni caso, è da queste manovre che l'Italia potrebbe emanciparsi in tutto o in parte dai colossali e pericolosi rinnovi di titoli di Stato nel biennio di ferro 2012-13. Con prevedibili e non trascurabili risparmi sui tassi.


Le parti più interessanti le ho evidenziate con il grassetto, perché l'articolo parla (in gran parte) anche d'altro.

Esiste comunque una sostanziale differenza tra quanto proposto da me e quanto previsto dalla formula del Ministero: i beneficiari delle obbligazioni sarebbero solo banche ed altri "investitori istituzionali", non i cittadini comuni, i quali così si vedrebbero privati della possibilità di partecipare alla pur auspicabile dismissione di patrimonio statale.

Staremo a vedere come la vicenda si evolverà...

Tojo

venerdì 11 novembre 2011

OPERAZIONI: acquistato BTp 01/09/2040

Oggi mi sentivo molto spericolato e quindi ho acquistato dei BTp quarantennali ad un prezzo medio di 75,5 €.


Non che la mia (s)fiducia nell'Italia sia migliorata, ma il possibile governo Monti guida al rialzo e, se la cosa si dovesse concretizzare, è possibile che i rendimenti scendano verso il 6% (e magari anche sotto), senza contare che una presidenza Monti troverebbe un alleato più "accomodante" nella BCE (che, ricordo, sostiene le quotazioni dei nostri titoli di Stato).


Vediamo un po' se dovrò pentirmi di questo azzardo completo: ovviamente, aggiornerò il blog di conseguenza.


Tojo

mercoledì 9 novembre 2011

Altri si stanno accorgendo della sottovalutazione del platino!

Ave a tutti!


Forse ricorderete che, circa un mese fa, scrissi un pezzo sull'evidente anomalia del rapporto platino/oro, dove evidenziavo come stranamente l'oro "bianco" costasse decisamente meno dell'oro "giallo", mentre storicamente il rapporto è sempre stato inverso.


A quanto pare non sono l'unico ad aver notato la cosa - ci mancherebbe altro! - ed anche siti specialistici iniziano a parlarne, come ad esempio Money Week.


Buona lettura! ;-)


Tojo

sabato 5 novembre 2011

L'idea del PRESTITO DI SALVEZZA NAZIONALE si trasforma in una lettera aperta ai giornali

Non posso che essere lusingato dalla buona accoglienza che, su Facebook (dove solitamente ri-pubblico gli articoli che scrivo qui), ha avuto la mia rudimentale idea alternativa/anti-Patrimoniale esposta ieri.

Visto che la cosa mi ha messo di buon umore, ho pensato di azzardare ancora un po' e provare a metter giù due righe (eufemismo: in realtà sono parecchio di più), scrivendo una lettera che proverò ad inviare a quotidiani, riviste e blogs finanziari italiani: chissà che, sempre che venga pubblicata, non ne sortisca un positivo dibattito su come diminuire il nostro Debito pubblico, senza usare il solito repertorio tributario-vessatorio.

Di seguito riporto la lettera (dove ho cercato anche di essere più preciso e dettagliato sugli aspetti "tecnici" dell'operazione): buona lettura! ;-)

Piacenza
5 novembre 2011
Egregio Direttore,
sono un ventiquattrenne laureando in Finanza aziendale, con la passione per la Macroeconomia ed il bilancio delle Amministrazioni pubbliche, e sono preoccupato per il rapido deteriorarsi dei conti dello Stato.

Non appartengo alla categoria dei disfattisti ad ogni costo e, avendo studiato materie finanziarie, riconosco che, sicuramente, una parte dell’attuale situazione italiana dipende da un problema di fiducia (visto che i conti pubblici non sono così terrificanti ed il nostro debito, proporzionalmente, non è certo peggiore di quello di 20, 10 o 5 anni fa): ad ogni modo, prescindendo da cause e motivazioni, un problema ormai c’è e va affrontato.
Piaccia o no – e personalmente sono tra quelli cui piace – il mercato e l’economia vogliono maggiori sicurezze sul nostro conto: il che, tradotto, significa un impegno visibile per un (ulteriore) miglioramento delle nostre finanze pubbliche.
Di questo si sta rendendo conto (di malavoglia) anche la classe politica, la quale sembra avere come unica proposta un intervento sul fronte delle entrate: maggiore imposizione, minore incentivazione o (spauracchio supremo) una Tassa Patrimoniale.

Superfluo dire che sono assolutamente contrario all’idea di un incremento delle imposte, tanto più se si dovesse realizzare sotto forma del tributo più ingiusto ed odioso, ovvero la Patrimoniale: vivo però anche nel mondo reale e, per quanto scritto sopra, so che sono necessari soldi – adesso! – e che è finito il tempo delle “soluzioni a costo zero”. Si può però ancora scegliere “di che morte morire”.

Ecco quindi la mia modesta proposta, emersa da un avvincente dibattito sul popolare social network Facebook, e che mi piacerebbe condividere con i lettori del Suo giornale: chissà che non sia preso come spunto da qualcuno “molto in alto”!

Da un lato sappiamo che lo Stato ha bisogno di denaro e proverà a prenderlo dove e come può, dall’altro abbiamo tutti il malcelato sospetto che ogni “manovra” ingoi i nostri soldi come un buco nero: insomma, mancano garanzie su come verranno utilizzate le risorse finanziarie che noi, volenti o nolenti, diamo e daremo all’Amministrazione pubblica.
Il senso della mia idea è quindi il seguente: invece di imporre un nuovo odioso tributo, lo Stato faccia un patto con i propri cittadini, una sorta di “prestito d’onore” con vincolo di destinazione delle risorse così raccolte e garanzie reali sulla restituzione e remunerazione delle stesse. Esattamente come se noi cittadini fossimo una banca ed erogassimo un mutuo al Governo.

Dal punto di vista tecnico-finanziario, il credito (che potremmo chiamare Prestito di Salvezza Nazionale) dovrebbe essere emesso dal Tesoro italiano, sotto forma di obbligazioni che, volontariamente – sottolineo “volontariamente”! – noi cittadini acquisteremmo.
Queste obbligazioni dovrebbero avere inoltre le seguenti caratteristiche:
  • rimborso di quota capitale ed interessi in un’unica soluzione a scadenza (esattamente come un BOT, con il vantaggio di non caricare le Finanze Pubbliche di ulteriori oneri finanziari periodici);
  • garanzia reale su montante ed interessi, rappresentata da Beni Pubblici Disponibili (che recenti stime del Tesoro valorizzano in 700 miliardi di euro);
  • conseguentemente, opzione di rimborso del Prestito o sotto forma di contante o sotto forma di quota parte dei Beni Pubblici Disponibili dati a garanzia (opportunamente conferiti in un fondo chiuso, con tante quote quanti saranno i titoli del Prestito di Salvezza Nazionale);
  • vincolo di destinazione delle risorse finanziarie così raccolte, con finalità esclusiva – ribadisco, esclusiva! – di riduzione dello stock di Debito pubblico, ad esempio tramite creazione di uno SPV (Special Purpose Vehicle), che da un lato si finanzi mediante la raccolta del Prestito, dall’altro si accolli una quota identica di BOT, CCT, CTZ e BTP.

Nel gergo economico-finanziario, quest’operazione sarebbe una via di mezzo tra uno swap tra Debito pubblico junior (non garantito, quello attuale) e senior (garantito, quello del Prestito) ed un ABS (Asset-backed security, strumento obbligazionario garantito da attività sottostanti). I vantaggi ritengo potrebbero essere molti, tra cui:
  1. riduzione della mole di titoli di Stato da dover rinnovare a scadenza (con conseguenti problemi di aumento dei rendimenti richiesti), grazie alla loro estinzione definitiva tramite liquidità da Prestito Nazionale;
  2. miglioramento della fiducia verso l’Italia, con probabile riduzione dei tassi d’interesse, sia sul mercato secondario che su quello primario (ovvero possibilità di rifinanziare il Debito pubblico restante a condizioni più vantaggiose);
  3. avvio di un vero piano di valorizzazione e privatizzazione dei Beni Pubblici (grazie all’opzione di pagamento del Prestito con quote degli stessi), con il vantaggio che essi rimarrebbero in mani italiane;
  4. trasformazione del pericolo di una nuova tassa in un’allettante opportunità d’investimento “sicuro” per noi cittadini;
  5. smobilizzo di una grande quantità di risorse statali oggi per lo più improduttive, con beneficio del nostro asfittico mercato finanziario;
  6. infine, possibile aumento del gettito fiscale per lo Stato, grazie alla tassazione di tutti i capital gains che sarebbero fatti dai sottoscrittori del Prestito Nazionale, al momento del suo rimborso da parte del Tesoro.

Sono consapevole che molto probabilmente ho semplificato troppo le cose, sottovalutando rischi e problemi di un’operazione del genere, ma proprio per questo spererei che si ingenerasse un bel dibattito sulle soluzioni alternative ad un “classico” ed assai poco gradevole nuovo aumento dell’imposizione fiscale.


Tojo